Nullita’ degli atti di trasferimento della proprietà degli immobili
Breve nota sulla stato dell’arte dopo la sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 8230/2019.
La nullità degli atti traslativi della proprietà degli immobili è stato sempre un tema dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza.
Nel corso degli anni si sono susseguite numerose leggi con l’intento di delimitarne il campo di applicazione, a partire dalla legge n. 10 del 1977 che ha disposto la nullità degli atti giuridici aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza diconcessione, principio poi precisato dalla legge n. 47 del 1985 che all’articolo 40 ha sancito la nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, in caso di omessa indicazione degli estremi della licenza o della concessione ad edificare.
Questo impianto normativo è successivamente confluito nell’articolo 46 del Testo Unico dell’edilizia del 2001 secondo cui gli atti tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione, o lo scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire.
Dall’analisi di queste norme si capisce come sia fondamentale indicare gli estremi del titolo abilitativo nell’atto di disposizione (rogito) di diritti reali relativi ad un immobile, a pena di nullità del relativo atto di trasferimento.
Sul tema si sono formati però due contrastanti orientamenti della giurisprudenza:
– secondo il primo (“nullità formale”) la nullità in questione assume rilievo formale e dunque l’atto traslativo dell’immobile sarà nullo in caso di mancata indicazione degli estremi del titolo abilitativo a prescindere dalla conformità del progetto realizzato al titolo menzionato in atto;
-per il secondo (“nullità sostanziale”) invece non sarebbe sufficiente per la validità dell’atto la semplice menzione nell’atto del titolo abilitativo dell’immobile, se nella realtà la situazione fosse irregolare e quindi non ci fosse conformità tra progetto realizzato e titolo relativo.
La Corte di Cassazione si è trovata quindi ancora una volta ad affrontare un caso relativo ad una compravendita di un immobile viziato da abusi edilizi, in cui venivano in contrasto i due orientamenti sopra descritti. Il ricorrente, infatti rivendicava la nullità dell’atto dispositivo dell’immobile poiché lo stesso risultava costruito non in conformità al titolo abilitativo, nonostante gli estremi di quest’ultimo fossero indicati nell’atto.
La vertenza, visto l’impasse giuridico che si era determinato con le precedenti decisioni contrastanti e per dirimere lo stesso, è stata assegnata alla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019, hanno affermato che la nullità va ricondotta sotto il profilo dell’orientamento formale, e quindi deve essere volta a sanzionare la mancata inclusione degli estremi del titolo abilitativo nell’atto dispositivo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile proprio a quell’immobile.
Con questo principio la Corte ha voluto semplificare la disciplina della commerciabilità dell’immobile, poiché l’orientamento sostanzialista rappresentava, a suo dire, un ostacolo alla circolazione degli immobili e dunque alla compravendita, perché avrebbe costretto a pena di nullità ad accertare la regolarità urbanistica dell’immobile, ossia la conformità reale del titolo abilitativo indicato al costruito, al fine di garantire la commerciabilità e dunque la validità della vicenda traslativa. Inoltre secondo la Corte la tesi formale della nullità eviterebbe problemi
interpretativi sul livello di difformità del costruito rispetto al progetto licenziato nel titolo abilitativo, evitando di andare ad accertare ogni volta se il grado di variazione della costruzione fosse essenziale o non essenziale rispetto al contenuto del titolo indicato.
In definitiva alla luce del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite, un atto di trasferimento di un immobile è nullo solo se il venditore non menziona il titolo in forza del quale è stato costruito l’immobile o se il venditore dichiari che l’immobile è stato costruito in forza di un titolo abilitativo che poi si riveli inesistente o riferito ad un immobile diverso da quello venduto.
Nessuna rilevanza, ai fini della declaratoria di nullità dell’atto di trasferimento, avrà invece la conformità del bene realizzato a quanto contenuto nel titolo abilitativo, restando tuttavia valide ed operanti in tal caso, le altre azioni (risoluzione del contratto, risarcimento dei danni, riduzione del prezzo, ecc.) a tutela dei diritti della parte acquirente.
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